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dimarts, 1 de març del 2011

Doble 1ª Victòria GEOX a la Clàssica d'Almeria

Enllaç


"È martedì 1° giugno. Sono a Rogeno, un paio di chilometri da qui. E sono a casa di Matteo, il mio ragazzo: Matteo Pelucchi, dilettante nella Trevigiani. Domenica avevo corso a Novi Ligure, aveva vinto Alona Andruk, ucraina, amica e compagna di squadra, e avevamo festeggiato. Quel martedì mattina usciamo in tre: Samuele Conti della Bergamasca, Matteo e io. Arriviamo a Lecco, ci fermiamo in un bar, prendiamo un caffè, poi cominciamo l’allenamento. Ho in programma delle ripetute in pianura per preparare la corsa successiva, a Valladolid, in Spagna, valida per la Coppa del Mondo. Ricordo che parto, che pedalo su una stradona diritta, che vado sui 35 all’ora, sulla destra, da sola, Matteo e Samuele dietro per non darmi fastidio, poi non ricordo più nulla. Da lì ho un buco lungo una settimana".

Il sangue e le lacrime — "Succede che una macchina mi taglia la strada, ci sbatto dentro, ci volo sopra, ci piombo oltre. Mentre Samuele sale sulla macchina per non far scappare la donna che la guidava, Matteo si precipita da me. Mi tiene a terra, mi stringe la mano, mi tranquillizza. Un colpo terribile all’altezza del torace, polmone perforato. Poi sangue in faccia e dolore alla schiena. Matteo racconta che non ho mai perso conoscenza. Ambulanza, elicottero, San Raffaele, neurorianimazione. Quando mi vede, il chirurgo maxillofacciale si mette a piangere. Mi opera e mi ricostruisce, punto per punto: 500 punti, mi restituisce anche l’occhio destro, perfetto, 10 decimi, che nell’incidente mi era quasi esploso. Mi tengono in coma sei giorni, poi mi operano alla schiena. Eppure di quei sei giorni, fra vita e morte, fra sogno e realtà, sento ascolto ricordo: ci sono io, più alta, con i capelli corti e biondi invece che lunghi e scuri, c’è il presidente della società — la Safi Pasta Zara — che organizza una grande festa in mio onore, c’è anche la consapevolezza di qualcuno che mi vuole uccidere e di me che mi batto e lotto e sopravvivo. E quando mi sveglio, so già tutto. E, soprattutto, so che non mi arrendo e voglio guarire".

La rieducazione — "Qui a Villa Beretta mi trovo dal 24 giugno, e non so quanto ci rimarrò. Mi sveglio alle 7 e mezzo, colazione, esercizi respiratori, poi due ore di palestra per ritrovare la mobilità della parte superiore, perché quella inferiore ancora non la sento. Obiettivo: l’indipendenza. Poi pranzo, riposo e altre due ore di palestra. Miglioro: qualcosa sento, qualcosa recupero, un po’ di addominali, un po’ di dorsali. La sera sono così stanca che faccio in fretta ad addormentarmi. E poi sogno. Sogno di camminare. L’altra sera, per la prima volta, ho sognato anche di andare in bici".

Gli inizi — "Il giorno in cui sono nata la seconda volta, quando ho visto Matteo, gli ho chiesto come mai non si stesse allenando. "Devi farlo tu — gli ho spiegato — perché io non so se ci riuscirò ancora". I miei sogni devono diventare i suoi. Da piccola facevo nuoto, ma non mi divertivo mica tanto. Così: ciclismo. Mi sono iscritta al Gs Potentia 1945, di Potenza Picena. La prima corsa da giovanissima, maschi e femmine insieme, e l’ho finita. Siccome di femmine eravamo solo tre o quattro, quelle vittorie neanche le conto: era un gioco. Così la mia prima vera vittoria da esordiente secondo anno, a Bovolone: un centinaio di partenti, sono arrivata da sola".

La speranza — "Il ciclismo è uno sport pesante, però magnifico. Il bello del ciclismo è che dopo tanta fatica, ti senti di aver vinto anche se non sei arrivata prima. Il brutto è l’abbronzatura. Il brutto sono anche le cadute. Solo che, prima, mi sono sempre rialzata da sola. Ce la farò anche stavolta. Non so quanto ci metterò, ma so che ci riuscirò. Quello che mi è successo non è colpa del ciclismo né della bici e neanche mia. Una fatalità. Mi dispiace che quella donna non sia mai venuta a trovarmi, a scusarsi. Io avrei potuto essere sua figlia, soprattutto lei avrebbe potuto essere mia madre. Invece niente. Perché? E perché proprio a me? A queste due domande non so ancora rispondere. Certo non me lo meritavo. Però credo che Dio abbia scelto me, perché nonostante sia piccolina, 1,60, e leggera, da 47 sono scesa a 44 chili, ho le spalle larghe. Io ci metto il coraggio, gli altri l’affetto, e con le mie gambe, che prima mi davano tantissimo, ora basterebbe il 10%: non pretendo di più, tornerei a camminare".